Condominio: riparto spese modificabile solo all’unanimità

 Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 febbraio – 23 marzo 2016, n. 5814Presidente Matera – Relatore Picaroni

Ritenuto in fatto

1. – È impugnata la sentenza del Tribunale di Venezia, depositata il 24 febbraio 2011, che ha accolto l’appello principale proposto da T.T. e rigettato l’appello incidentale proposto da D.C.F. e V.F. avverso la sentenza del Giudice di pace di Venezia.

 1.1. – Il giudizio di primo grado era stato introdotto da T.T. per opporsi al decreto ingiuntivo con il quale le era stato intimato il pagamento di euro 108,17 a titolo di quota-parte dei lavori di impermeabilizzazione del tetto condominiale, ad uso esclusivo dei ricorrenti sigg. D.C. -V. .

Il Giudice di pace, previa affermazione della propria competenza per valore, e richiamato l’esito della CTU – da cui era emerso che i lavori effettuati erano necessari, di natura strutturale e che la spesa sostenuta era congrua – aveva deciso secondo equità applicando l’art. 1123 cod. civ. e rigettato l’opposizione.

2. – Il Tribunale, adito da entrambe le parti come già evidenziato, preliminarmente aveva rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ritenendo che doveva ritenersi sussistente la competenza del giudice di pace, in base al criterio residuale del valore della causa, non essendo prevista la competenza per materia del Tribunale, e che la sentenza – emessa ai sensi dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ. – fosse comunque appellabile, in quanto era stato dedotta la violazione delle norme sulla competenza e il difetto assoluto di motivazione, e tali vizi rientravano nell’elencazione tassativa di cui all’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ..

2.1. – Nel merito, il Tribunale riteneva applicabile alla fattispecie l’art. 1126 cod. civ., previa esclusione della opponibilità all’appellante delle tabelle millesimali che derogavano al criterio di ripartizione delle spese previsto dalla norma citata.

3. – Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso D.C.F. e V.F. , sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso T.T. .

I ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Considerato in diritto

1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 339 cod. proc. civ., e si ripropone l’eccezione di inammissibilità dell’appello sul rilievo che le sentenze pronunciate dal giudice di pace in controversie non eccedenti il valore di Euro 1.100,00 sarebbero inappellabili in via assoluta, e che, nel caso di specie, non ricorreva alcuna delle ipotesi contemplate dall’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ..

1.2. – La doglianza è infondata.

1.2.1. – Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito della giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto dal terzo comma dell’art. 339 cod. proc. civ., è l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso, anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza ed al difetto di motivazione (Cass., Sez. U, sentenza n. 27339 del 2008; sez. 6^-3^, ordinanza n. 6410 del 2013).

Nel caso in esame, non è dubitabile, risultando ex actis, che l’appello fosse stato proposto dalla sig. T. per denunciare, tra l’altro, il difetto di competenza per materia del giudice di pace e la carenza o, comunque, l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, e il Tribunale ha fondato la decisione di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello anche su tale ratio, che è sufficiente a supportare la decisione.

2. – Con il secondo motivo è dedotta errata applicazione del combinato disposto degli artt. 1421 cod. civ. e 99 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1126, 1123 e 1135, n. 2, cod. civ., e si contesta la rilevata nullità della delibera assembleare del 1991 (con la quale erano state approvate le tabelle millesimali), che aveva stabilito la ripartizione delle spese relative alla copertura per millesimi, ai sensi dell’art. 1123 cod. civ., sulla base di una eccezione sollevata per la prima volta dalla controparte in appello, in sede di precisazione delle conclusioni. Si assume inoltre l’erroneità dell’applicazione dell’art. 1126 cod. civ. anche per le opere di manutenzione del solaio portante o della guaina impermeabilizzante, oggetto di controversia, per le quali invece doveva trovare applicazione l’art. 1123 cod. civ., tenuto conto che le tabelle millesimali approvate prevedevano la ripartizione delle spese di manutenzione della copertura del condominio secondo il criterio di cui alla citata norma.

3. – Con il terzo motivo è dedotta errata applicazione degli artt. 1123 e 1126 cod. civ. per avere la Corte d’appello ritenuto applicabile l’art. 1126 cod. civ. nonostante le spese concernessero la riparazione di elementi strutturali portanti dell’intero edificio.

3.1. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per la stretta connessione, sono infondate.

3.1.1. – Con riferimento al profilo processuale, si osserva che la questione della nullità delle tabelle era stata introdotta fin dal primo grado di giudizio, in quanto la sig.ra T. aveva dedotto, con l’opposizione a decreto ingiuntivo, l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 1123 cod. civ. ed invocato, per contro, l’applicazione del criterio dettato dall’art. 1126 cod. civ. La contestazione riguardo al criterio di riparto delle spese comprendeva anche, necessariamente, l’applicazione delle tabelle millesimali che quel criterio avevano assunto. La questione della nullità era dunque fondata su elementi già acquisiti al giudizio, e pertanto neppure configurava una eccezione ma una mera difesa (ex plurimis, Cass., sez. 1^, sentenza n. 350 del 2013).

3.2. – Quanto ai profili sostanziali di censura, la ripartizione tra i condomini delle spese di riparazione o di ricostruzione delle terrazze a livello che servano di copertura dei piani sottostanti è disciplinata dall’art. 1126 cod. civ., che stabilisce che un terzo della spesa è a carico del condominio che abbia l’uso esclusivo del lastrico o della terrazza e i rimanenti due terzi sono a carico dei proprietari delle unità abitative sottostanti.

La norma è applicabile in ogni caso di spesa riguardante la struttura delle terrazze in funzione della copertura dell’edificio, siano esse ordinarie o straordinarie, di manutenzione o di rifacimento, mentre rimangono a carico delle proprietà esclusive le spese dirette unicamente al miglior godimento delle unità immobiliari di cui le terrazze siano il prolungamento (Cass., sez. 2^, sentenza n. 16583 del 2012; sez. 2^, sentenza n. 1451 del 2014).

La pronuncia richiamata dai ricorrenti (Cass., sez. 2^, sentenza n. 7472 del 2001) ha escluso l’applicabilità dell’art. 1126 cod. civ. alla fattispecie del rifacimento di un giardino pensile sovrastante un’autorimessa, e dunque non è pertinente.

3.3. – Con riferimento alla valenza derogatoria da attribuire alla delibera condominiale del 1991, con la quale erano state approvate all’unanimità le tabelle millesimali, in disparte l’inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza che imponeva di riprodurre il contenuto della delibera, la doglianza è infondata.

È vero che una risalente pronuncia ha affermato che il criterio di riparto delle spese relative alla terrazza contenuto nell’art. 1126 cod. civ. non è compreso tra le disposizioni inderogabili richiamate dall’ultimo comma dell’art. 1138 cod. civ., sicché il regolamento condominiale può stabilire il riparto in proporzione al valore millesimale dei singoli appartamenti (Cass., sez. 2^, sentenza n. 1082 del 1964).

Tuttavia, le attribuzioni dell’assemblea condominiale, previste dall’art. 1135 cod. civ. sono circoscritte alla verificazione ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri legali di riparto delle spese, con la conseguenza che deve ritenersi nulla e non meramente annullabile, anche se assunta all’unanimità, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall’art. 1126 cod. civ., senza che i condomini abbiano manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso. La predetta nullità può essere fatta valere, a norma dell’art. 1421 cod. civ., anche dal condomino che abbia partecipato all’assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purché alleghi e dimostri di avervi interesse, giacché non opera nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha concorso a dare causa alla nullità non può farla valere (ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 5125 del 1993).

3.3.1. – La fissazione di criteri di spesa diversi da quelli legali incide sul valore della proprietà esclusiva di ciascun condomino, e quindi necessita di una base convenzionale (ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 28679 del 2011) che non può essere riconosciuta alle tabelle millesimali di natura “deliberativa” – cioè approvate con deliberazione dell’assemblea condominiale – le quali, infatti, non necessitano del consenso unanime dei condomini per l’approvazione (Cass., Sez. U, sentenza n. 18477 del 2010), né, evidentemente, l’unanimità dell’approvazione trasforma in negoziale ciò che non lo è.

4. – Con il quarto motivo è dedotta errata applicazione delle norme in tema di riparto delle spese processuali in caso di soccombenza.

4.1. – La doglianza è infondata.

Il Tribunale ha fatto applicazione del principio di soccombenza, avendo accolto l’appello principale e riformato la sentenza di primo grado.

5. – Al rigetto del ricorso seguono le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

I nuovi importi del contributo unificato 2011: esordiscono processo tributario, separazioni e divorzi

Pubblichiamo qui i nuovi importi del contributo unificato, così come modificati dalla finanziaria 2011 ed entrati in vigore il 6 luglio 2011.

Segnaliamo l’esordio del contributo unificato nel processo tributario, con addio alle marche da bollo da apporre sul ricorso.

E’ previsto, inoltre, il pagamento di un contributo unificato di 37 euro per procedimenti che finora erano stati sempre esclusi da ogni tassazione.

Ci riferiamo a quelli in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie la cui parte abbia un reddito imponibile superiore ad euro 21.256,32.

Stesso contributo di 37 euro anche per separazioni e divorzi consensuali, che è fissato in 85 euro per quelli giudiziali.

Infine, evidenziamo la discutibile novità che prevede che “ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax ai sensi degli articoli 125, primo comma, del codice di procedura civile e 16,comma 1-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nell’atto introduttivo del giudizio o, per il processo tributario, nel ricorso il contributo unificato è aumentato della meta’”.

Divisione: niente ipoteca a carico dell’assegnatario non debitore

Gentilissimo Avv. Boccia, dopo una causa durata vent’anni per l’eredità di mia nonna, il giudice nel 2007 mi ha con sorteggio assegnato un piccolo terreno. In sede di trascrizione notarile, ho scoperto che sul bene gravava ipoteca iscritta su tutta la massa ereditaria da equitalia due anni prima, per tributi non pagati da un coerede, anch’egli destinatario di un altro appezzamento di terreno. Le chiedo cortesemente di darmi un suo autorevole parere: 1 – E’ possibile che pur non dovendo nulla ad equitalia, debba trovarmi un’ipoteca senza neanche saperlo? 2 – Perchè, dopo esibizione dell’atto notarile del mio terreno, il funzionario di equitalia si ostina a non restringere l’ipoteca sul bene del debitore? 3 – Possibile che non possa vendere il mio bene finchè il debitore non estingue il suo debito? La ringrazio in anticipo per la sua squisita gentilezza e le porgo i miei cordiali saluti. Michele (email)

Gentile signor Michele, non conosco bene i termini del giudizio di divisione ereditaria, in particolare se la relativa domanda sia stata trascritta, se Equitalia abbia notificato qualche opposizione alla divisione o sia stata parte del giudizio.

Tuttavia, in linea generale, posso dire che la divisione ereditaria ha effetto retroattivo e costitutivo. Questo significa che è come se Lei fosse stato proprietario dell’immobile assegnatoLe fin dalla data di apertura della successione, e che gli altri coeredi mai siano stati proprietari di quel bene.

Nel Suo caso, quindi, il creditore (Equitalia) che ha iscritto ipoteca sulla quota di un altro coerede, e quindi anche sull’immobile che Le è successivamente toccato in sorte, dopo la divisione non ha più diritto di mantenerla, appunto perchè il debitore non è mai stato titolare di quel bene.

Dunque, salva la mia premessa su alcuni aspetti della causa, Equitalia deve senz’altro estinguere l’ipoteca posta sul Suo immobile. Ovviamente, essa avrà diritto di trasferirla sull’appezzamento andato all’altro coerede, mantenendo il grado di ipoteca che aveva con l’iscrizione sul bene assegnatoLe.

Potrà, dunque, senz’altro insistere affinchè l’ipoteca venga trasferita e, in caso di ulteriore diniego, far causa all’Equitalia perchè ciò avvenga. Eventualmente, oltre che per la cancellazione dell’ipoteca, potrà agire anche per il risarcimento dei danni qualora riesca a dimostrare, ad esempio, di aver perduto una buona occasione di vendita.

Infine, vista la durata del giudizio (venti anni), potrebbe intraprendere anche una causa per equa riparazione per irragionevole durata del processo.

Danno da fermo tecnico: riconoscibile anche senza prova specifica

Tra i danni conseguenti ad un sinistro stradale, si annovera quello da fermo tecnico.

Si tratta del danno sofferto dal proprietario dell’autovettura danneggiata a causa dell’impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione.

L’orientamento prevalente, registrato sia in sede di legittimità (Cassazione civile  sez. III,  27 gennaio 2010 n. 1688) che di merito (Tribunale  Bari  sez. III, 20 settembre 2010  n. 2842;  Tribunale  Roma  sez. XIII,  03 maggio 2010 n. 9653), è quello secondo cui “è possibile la liquidazione equitativa di detto danno anche in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato; l’autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetta a un naturale deprezzamento di valore”.

Dunque, non sarebbe necessaria una specifica prova in merito, trattandosi di un danno, come si dice, “in re ipsa“, cioè normalmente conseguenziale ad un certo evento (nel caso specifico, sinistro stradale).

Analogamente, poiché il risarcimento si estende agli oneri accessori e consequenziali, al danneggiato deve essere liquidata l’i.v.a. pagata sulle riparazioni effettuate, o ancora da effettuare, sul veicolo incidentato, salvo che abbia diritto, per l’attività svolta, al rimborso o alla detrazione dell’i.v.a. versata.

Appare doveroso, comunque, segnalare alcune pronunce di segno opposto (ad esempio, alcune della XII sezione del Tribunale di Roma): “Il danno da fermo tecnico non è sussistente “in re ipsa“, quale conseguenza automatica dell’incidente, ma necessita, per converso, di esplicita prova, che attiene tanto al profilo della inutilizzabilità del mezzo meccanico in relazione ai giorni in cui esso è stato sottratto alla disponibilità del proprietario, tanto a quello della necessità del proprietario stesso di servirsene, così che, dalla mancata sua utilizzazione, ne sia derivato un danno , quale, ad esempio, quello derivante da impossibilità allo svolgimento di un’attività lavorativa, ovvero da esigenza di far ricorso a mezzi sostitutivi”.

La NOVIT Assicurazioni è in liquidazione coatta amministrativa

La Novit Assicurazioni è stata posta in liquidazione coatta amministrativa.

Evidenziamo, come già fatto in altro nostro articolo che vi invito a leggere, che per i danni diversi da quelli derivanti dalla circolazione stradale, la polizza continua a coprire per i rischi fino al sessantesimo giorno dalla data di pubblicazione del provvedimento nella Gazzetta Ufficiale (in questo caso, fino al 29 giugno 2011).

I contratti di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per i danni conseguenti alla circolazione di veicoli a motore e natanti, invece, mantengono inalterata la loro naturale scadenza.

Di seguito riportiamo il decreto ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale  n. 99 del 30 aprile 2011

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

DECRETO 7 aprile 2011

Revoca dell’autorizzazione all’esercizio delle attivita’ assicurative in tutti i rami e liquidazione coatta amministrativa di Novit Assicurazioni S.p.A., in Torino. Liquidazione coatta amministrativa della Sequoia Partecipazioni S.p.A., in Torino.

IL MINISTRO

DELLO SVILUPPO ECONOMICO

Vista la legge 12 agosto 1982, n. 576, concernente la riforma della vigilanza assicurativa e le successive disposizioni modificative ed integrative;

Visto il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il Codice delle assicurazioni private (d’ora innanzi “Codice”);

Visto l’art. 245 del predetto Codice, ai sensi del quale il Ministro delle attivita’ produttive, su proposta dell’ISVAP, puo’ disporre, con decreto, la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attivita’ in tutti i rami e la liquidazione coatta amministrativa, anche quando ne sia in corso l’amministrazione straordinaria ovvero la liquidazione secondo le norme ordinarie, qualora le irregolarita’ nell’amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie ovvero le perdite previste siano di eccezionale gravita’;

Visto l’art. 276 del medesimo Codice, ai sensi del quale la liquidazione coatta amministrativa della societa’ capogruppo di un gruppo assicurativo, oltre che nei casi previsti dall’art. 245, puo’ essere disposta quando le inadempienze nell’esercizio dell’attivita’ di direzione e di coordinamento per l’esecuzione delle istruzioni di vigilanza impartite dall’ISVAP siano di eccezionale gravita’;

Visto il decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, recante le disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, con il quale e’ stato istituito il Ministero dello sviluppo economico, nonche’ le successive modifiche e integrazioni;

Visto il provvedimento ISVAP n. 2877, in data 9 febbraio 2011, avente ad oggetto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 230 e 275 del Codice, la nomina del dott. Luciano Becchio, quale commissario per la gestione provvisoria di Novit Assicurazioni S.p.A. (d’ora innanzi “Novit”), e della controllante Sequoia Partecipazioni S.p.A. (d’ora innanzi “Sequoia”), con la conseguente sospensione delle funzioni degli organi di amministrazione e di controllo delle societa’, per la durata massima di due mesi;

Vista la lettera n. 19-11-001325, in data 31 marzo 2011, con la quale l’ISVAP, di seguito a quanto deliberato dal consiglio di amministrazione di ISVAP nella seduta del 30 marzo 2011, ha proposto al Ministro dello sviluppo economico l’adozione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 245 del Codice, del provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attivita’ assicurativa in tutti i rami e di liquidazione coatta amministrativa di Novit Assicurazioni S.p.A., nonche’ l’adozione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 276 del Codice, del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa di Sequoia Partecipazioni S.p.A.;

Vista, altresi’, la relazione, in data 28 marzo 2011, del Presidente dell’ISVAP, sulla cui base il consiglio ha deliberato di proporre al Ministro dello sviluppo economico l’adozione dei provvedimenti sopraspecificati, in considerazione, tra le altre, delle circostanze di seguito esposte:

1) in data 9 aprile 2011 si conclude l’attivita’ del commissario per la gestione provvisoria, che, ai sensi degli artt. 230 e 275 del Codice non puo’ avere durata superiore ai due mesi;

2) in data 24 marzo 2011, la relazione del suddetto commissario ha confermato, per Novit, la sussistenza di gravi irregolarita’ nell’amministrazione, la violazione delle disposizioni legislative ed amministrative e l’aggravamento delle perdite nonche’, per Sequoia, l’incremento della carenza di elementi costitutivi del margine di solvibilita’ corretto;

3) le gravi perdite patrimoniali di Novit alla data del 31 dicembre 2010 evidenziano la violazione delle norme sul margine di solvibilita’ e sulle attivita’ a copertura delle riserve tecniche e, conseguentemente, non consentono a Novit di soddisfare le condizioni di esercizio previste dalla disciplina assicurativa;

4) a causa della predetta grave perdita Novit non dispone del capitale minimo richiesto per lo svolgimento dell’attivita’ assicurativa;

5) la situazione sopradescritta integra i presupposti per l’adozione, a carico di Novit del provvedimento di cui all’art. 245 del Codice;

6) l’assenza di investitori interessati ad effettuare interventi di capitalizzazione di Novit e di Sequoia;

7) il gruppo Sequoia e’ composto unicamente dalla capogruppo Sequoia e da Novit e, quindi, lo stato di irregolare funzionamento di quest’ultima compromette anche la stabilita’ della predetta societa’ capogruppo;

8) al 31 dicembre 2010 Sequoia evidenzia la violazione delle norme sul possesso del margine di solvibilita’ corretto previste dalla normativa assicurativa in materia di vigilanza supplementare;

9) la situazione sopradescritta integra i presupposti per l’adozione, a carico di Sequoia, del provvedimento di cui all’art. 276 del Codice;

Ritenuto, che, alla luce delle predette, accertate circostanze, sussistono le condizioni di eccezionale gravita’ richieste dagli artt. 245 e 276 del Codice;

Ravvisata la necessita’ di procedere all’adozione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 245 del Codice, del provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attivita’ assicurativa in tutti i rami e di liquidazione coatta amministrativa di Novit Assicurazioni S.p.A., nonche’ all’adozione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 276 del Codice, del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa di Sequoia Partecipazioni S.p.A.;

Decreta:

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 245 del Codice e’ disposta la revoca dell’autorizzazione all’esercizio delle attivita’ in tutti i rami e la liquidazione coatta amministrativa di Novit Assicurazioni S.p.A., con sede in Torino. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 276 del Codice e’ disposta la liquidazione coatta amministrativa di Sequoia Partecipazioni S.p.A, con sede in Torino.

Roma, 7 aprile 2011

Il Ministro: Romani

Autovelox fisso: sì in città solo su strade di scorrimento

E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza del 6 aprile 2011 n.7872.

La pronuncia prende le mosse dal ricorso di un automobilista a cui era stata irrogata una sanzione amministrativa tramite l’uso dell’autovelox fisso in centro cittadino.

In sostanza, la Suprema Corte, aderendo alla tesi dell’utente della strada, ha dapprima ricordato che l’art.4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (coordinato con la legge di conversione 1 agosto 2002, n. 168), in tema di “Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale” consente agli organi di polizia stradale l’installazione sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali di dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento di cui agli articoli 142 e 148 dello stesso codice. I predetti dispositivi o mezzi tecnici di controllo – continua la norma – possono essere altresì utilizzati o installati sulle strade extraurbane secondarie e sulle strade urbane di scorrimento (art. 2, comma 2, lettere C e D, del c.d.s.), ovvero su singoli tratti di esse, individuati con apposito decreto del prefetto ai sensi del comma 2.

Orbene, secondo la Cassazione, all’interno del centro cittadino (strada urbana), la rilevazione delle infrazioni di cui agli artt. 142 e 148 c.d.s. (eccesso di velocità e sorpasso) attraverso gli speciali strumenti previsti dal predetto art.4, tra cui gli autovelox fissi, è consentita solo in presenza di specifiche caratteristiche della strada che consentano di inquadrarla nella categoria delle strade urbane di scorrimento.

Tali sono (art.2 c.d.s., comma 3) quelle che presentano le seguenti caratteristiche minime:

“strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali esterne alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscite concentrate”.

Al di fuori di queste ipotesi, l’utilizzo nell’area urbana di una postazione fissa di autovelox è da ritenersi senz’altro contra legem, con conseguente illegittimità dell’infrazione rilevata.

Multa oltre i 200 euro? Rateazione fin da subito

Non è necessario attendere il decreto interministeriale cui fa riferimento l’ultimo comma dell’art.202-bis del codice della strada per ottenere la rateazione di sanzioni pecuniarie superiori ai 200 euro.

E’ quanto ha chiarito il Ministero dell’Interno con la circolare n.6535 del 22 aprile 2011, ritenendo applicabile anche alle sanzioni derivanti da infrazioni a norme del Codice della Strada la medesima facilitazione prevista dall’art.26 L689/81 per le somme dovute in seguito ad ordinanza ingiunzione.

Val la pena ricordare, a tal proposito, che  l’art.202-bis del codice della strada riconosce tale facoltà a chi è  titolare di un reddito imponibile  ai  fini  dell’imposta  sul  reddito  delle persone fisiche, risultante dall’ultima dichiarazione, non  superiore a euro 10.628,16. Se  l’interessato convive  con  il  coniuge  o  con  altri  familiari,  il  reddito  è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante,  e  i  limiti  di reddito di cui al periodo precedente sono elevati  di  euro  1.032,91 per ognuno dei familiari

Sull’istanza, che va presentata entro  trenta giorni  dalla  data  di contestazione  o  di notificazione della violazione, l’Amministrazione deve pronunciarsi in senso favorevole o sfavorevole entro 90 giorni, decorsi i quali senza che sia intervenuto un provvedimento la stessa si intende rigettata (silenzio-rigetto).

La presentazione  dell’istanza  implica  acquiescenza alla sanzione, con conseguente rinuncia  ad avvalersi della facoltà di ricorso al prefetto e di ricorso al giudice di pace.

Sia in caso di accoglimento che di rigetto, così come in caso di silenzio-rigetto,  il provvedimento va notificato all’interessato ed all’organo accertatore.

In caso di rigetto (o di silenzio-rigetto), l’istante ha trenta giorni per effettuare il pagamento della sanzione in misura intera, ovvero impugnare il provvedimento dinanzi al Giudice di Pace.

In caso di accoglimento della domanda, l’organo accertatore verificherà il regolare pagamento di ciascuna rata e, in caso di mancato pagamento della prima ovvero, successivamente, di due rate, il richiedente decadrà dal beneficio.

Patente sospesa: niente permesso speciale per motivi di lavoro a chi guida ubriaco o sotto l’effetto di stupefacenti

Con la circolare n.6535 del 22 aprile 2011 il Ministero dell’Interno (dipartimento per gli affari interni e territoriali) ha chiarito entro quali limiti può essere concesso lo speciale permesso di guida di tre ore per motivi di lavoro previsto per chi è stato destinatario di un provvedimento di sospensione della patente.

Oltre che alle condizioni espressamente previste dalla norma (art.218 codice della strada), e cioè l’assenza di incidente in relazione all’infrazione che ha determinato il provvedimento di sospensione della patente e la possibilità di concessione per una sola volta, il permesso in esame verrà legittimamente negato in caso di condotte aventi rilevanza penale.

Più precisamente, il riferimento è al caso di sospensione della patente conseguente a guida sotto l’influenza dell’alcool (art.186 c.d.s.) qualora  sia  stato  accertato  un valore corrispondente ad un tasso  alcolemico  superiore  a  0,8 (g/l) (ipotesi di cui alle lettere b e c del comma 2).

Al di sotto di questa soglia (fattispecie prevista dalla lettera a), è, dunque, possibile ottenere la concessione dello speciale permesso di guida.

Analogamente, la detta concessione sarà preclusa nell’ipotesi di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti (art.187).

La soluzione interpretativa prospettata, oltre che coerente con l’impianto complessivo della legge in oggetto, caratterizzata dall’inasprimento del regime sanzionatorio nelle ipotesi di guida in statoi di alterazione psicofisica che danno luogo a responsabilità penale, trova supporto in un argomento di carattere sistematico, costituito dalla collocazione dell’art.218 nell’ambito della sezione seconda titolo sesto del codice, che disciplina le sanzioni amministrative accessorie a sanzioni amministrative pecuniarie.

Come si partecipa ad un’asta immobiliare presso il Tribunale

Aggiudicarsi un immobile ad un’asta immobiliare presso un Tribunale garantisce la massima sicurezza possibile per l’acquisto.
L’immobile perviene all’aggiudicatario completamente purgato da ogni gravame e soprattutto non può riservare al nuovo proprietario alcuna sfavorevole sorpresa, come qualche volta può capitare negli acquisti normali (v. Revocatorie Ordinarie e Fallimentari): il Tribunale garantisce.

La partecipazione alle aste è libera e pubblica.

Il codice di procedura civile, all’art. 579, prevede che “ognuno, eccetto il debitore, è ammesso a fare offerte all’incanto”. Non è prevista la necessità della rappresentanza tecnica. Le offerte, infatti, possono essere fatte personalmente o a mezzo di mandatario munito di procura speciale.

E’ anche possibile che il procuratore legale possa fare offerte per persona da nominare ma, in tal caso, nell’ipotesi di aggiudicazione, sarà indispensabile dichiarare in Cancelleria, nei tre giorni successivi all’aggiudicazione, il nome della persona per la quale è stata effettuata l’offerta. L’aggiudicazione altrimenti diverrà definitiva a nome del procuratore (art. 583 c.p.c.).

L’iter procedurale della vendita forzata inizia con l’ordinanza di vendita emanata dal giudice nella quale viene previsto un termine tra i 90 e i 120 giorni entro il quale possono essere proposte le offerte d’acquisto. Nella stessa ordinanza, vengono stabilite le modalità con le quali deve essere prestata la cauzione e viene fissata, al giorno successivo alla scadenza del termine, l’udienza per la deliberazione sull’offerta e per la gara tra gli offerenti. Si provvede, normalmente a cura e spese del creditore procedente, a dare idonea pubblicità dell’ordine di vendita sia sui quotidiani di informazione che su appositi siti internet.

La nuova normativa, infatti, ha previsto l’obbligo di pubblicazione dell’avviso di vendita, dell’ordinanza del giudice e della relazione di stima su appositi siti internet almeno quarantacinque giorni prima del termine per la presentazione delle offerte o della data dell’incanto. Sarà così consentita una partecipazione più ampia alle aste giudiziarie, tradizionalmente riservate ai soli operatori professionali.

Da tali documenti, è possibile trarre informazioni utili per una partecipazione più oculata alla vendita quali la descrizione del bene, le iscrizioni e trascrizioni che gravano sullo stesso, i dati catastali e le eventuali variazioni, la destinazione d’uso del bene ed i possibili abusi riscontrati, l’eventuale stato occupazionale del bene e il valore dell’immobile con indicazione del criterio di stima usato.

Per partecipare ad una vendita giudiziaria, è indispensabile aver prestato la cauzione che, nella vendita senza incanto, non può essere inferiore al decimo del prezzo proposto dall’offerente stesso, mentre nella vendita con incanto è stabilita dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza di vendita in misura non superiore al decimo del prezzo base d’asta. E’ stato poi abolito dalla nuova normativa l’obbligo di depositare in Cancelleria anche l’ammontare approssimativo delle spese di vendita quali spese e oneri di aggiudicazione, trascrizioni e volture.

Nella vendita senza incanto, l’offerta è depositata in busta chiusa in Cancelleria. Nel caso in cui la vendita è delegata ad un Professionista l’offerta è depositata presso lo studio del Professionista stesso, salvo diversa disposizione contenuta nell’avviso di vendita.

La vendita senza incanto, disciplinata dagli artt. 570 – 575 c.p.c., prevede la presentazione in busta chiusa delle offerte d’acquisto in Cancelleria con l’indicazione del prezzo, del tempo, del modo di pagamento e di ogni elemento utile alla valutazione dell’offerta stessa. Tali buste vengono, poi, aperte nell’udienza fissata per l’esame delle offerte, alla presenza dei vari offerenti. Se l’offerta è superiore al valore dell’immobile aumentato di un quinto, viene considerata senz’altro accolta. Se, invece, è inferiore a tale valore, il giudice non può procedere alla vendita se vi è il dissenso del creditore procedente o se ritiene che vi siano concrete possibilità di miglior vendita col sistema dell’incanto. In caso di più offerte valide, viene indetta una gara tra gli offerenti assumendo come prezzo a base d’asta il valore dell’offerta più alta. Se, invece, la gara non può aver luogo per mancanza di adesioni, il giudice decide se disporre la vendita a favore del maggior offerente oppure ordinare l’incanto.

La vendita con incanto, disciplinata dagli artt. 576 – 590 c.p.c., prevede la realizzazione immediata di una gara fra i diversi offerenti. Il giudice dell’esecuzione stabilisce le modalità con le quali effettuare la vendita, il prezzo base dell’incanto, il giorno e l’ora dell’asta, la misura minima dell’aumento da apportarsi alle offerte, l’ammontare della cauzione, le modalità e il termine entro il quale il prezzo deve essere depositato. Le offerte non sono efficaci se non superano il prezzo base d’asta o l’offerta precedente nella misura indicata nell’ordinanza di vendita. Ogni offerente non è più tenuto al mantenimento della sua offerta nel momento in cui essa viene superata da un’altra, anche se poi questa viene dichiarata nulla.

Nella vendita con incanto, la cauzione viene restituita integralmente, dopo la chiusura dell’incanto, se l’offerente non diviene aggiudicatario del bene (art. 580 c.p.c.). Nell’ipotesi in cui, però, questi non abbia partecipato affatto all’incanto, né personalmente, né a mezzo di procuratore speciale, senza documentato e giustificato motivo, la cauzione viene restituita solo nella misura dei nove decimi dell’intero.

Nell’ipotesi di vendita all’incanto, è possibile effettuare ulteriori offerte di acquisto nei 10 giorni successivi all’aggiudicazione. Tali offerte, per essere efficaci, devono però superare di un quinto il prezzo raggiunto nell’incanto. Anche in questo caso, sarà necessario depositare in Cancelleria l’offerta e integrare la cauzione che dovrà essere pari al doppio di quella richiesta per la partecipazione alla prima asta. Verificata la regolarità di queste ulteriori offerte, il giudice indice la gara della quale viene dato pubblico avviso e comunicazione all’aggiudicatario.

La legge 28 dicembre 2005, n. 263 ha riformato l’art. 584 c.p.c. prevedendo espressamente che alla nuova asta possano partecipare, “oltre gli offerenti in aumento di cui ai commi precedenti e l’aggiudicatario, anche gli offerenti al precedente incanto che, entro il termine fissato dal giudice, abbiano integrato la cauzione”.

Vengono così fugati i dubbi della giurisprudenza tradizionale che, a differenza della dottrina, nel vigore della vecchia normativa, riteneva tale partecipazione limitata ai soli offerenti in aumento e all’aggiudicatario.

In caso di diserzione della gara da parte degli offerenti in aumento, l’aggiudicazione diviene definitiva. Il giudice dell’esecuzione pronuncerà a carico degli offerenti in aumento la perdita integrale della cauzione, salvo ricorra un documentato e giustificato motivo.

A questo punto, l’aggiudicatario dovrà versare il saldo del prezzo, anche tramite contratto di finanziamento, entro il termine e con le modalità fissate nell’ordinanza di vendita. Tale termine non potrà essere superiore a 60 giorni dall’aggiudicazione.

Avvenuto il versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione può ancora sospendere la vendita nell’ipotesi in cui ritenga che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello effettivo dell’immobile altrimenti pronunciadecreto di trasferimento all’aggiudicatario del bene espropriato. Tale decreto contiene l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto e costituisce titolo per la trascrizione della vendita sui libri fondiari e titolo esecutivo per il rilascio (art. 586 c.p.c.).

Se, invece, l’aggiudicatario non provvede ad effettuare il deposito del prezzo nel termine stabilito, il giudice dell’esecuzione dichiarerà la decadenza dell’aggiudicatario, pronuncerà la perdita della cauzione a titolo di multa e disporrà un nuovo incanto. Se il prezzo ricavato dal nuovo incanto, insieme alla cauzione confiscata, è inferiore rispetto a quello dell’incanto precedente, l’aggiudicatario inadempiente è tenuto anche al pagamento della differenza.

Nell’ipotesi in cui, invece, l’asta non possa aver luogo per mancanza di offerte (cosiddetta “asta deserta”) e nel caso di inesistenza o di mancato accoglimento delle domande di assegnazione da parte dei creditori, il giudice dell’esecuzione potrà disporre l’amministrazione giudiziaria o un nuovo incanto. In quest’ultimo caso, sarà possibile stabilire modalità di vendita e forme di pubblicità differenti. Dovrà, poi, essere fissato un prezzo base inferiore di un quarto a quello precedente e un nuovo termine, tra i 60 e i 90 giorni, per la presentazione delle offerte d’acquisto. Va ricordato a tal proposito che eventuali comportamenti collusivi miranti proprio a ottenere tale risultato sono puniti a norma degli artt. 353 e 354 del codice penale.

Ultima notazione riguarda la circostanza per cui, per la copertura delle spese connesse alla partecipazione ad un’asta, molti Istituti di Credito hanno concluso convenzioni con i Tribunali, miranti a limitare i costi legati all’erogazione dei servizi finanziari. E’ bene, però, accordarsi con gli Istituti di Credito con un certo anticipo rispetto alla data d’asta in modo da rispettare i tempi tecnici per il versamento del prezzo previsti nell’ordinanza o nell’avviso di vendita. La banca ottenuta la copia della perizia ed effettuate le necessarie valutazioni stabilirà l’ammontare del finanziamento. Nel caso di mancata aggiudicazione, è generalmente prevista una clausola di dissolvenza in base alla quale, in caso di mancata aggiudicazione, viene annullata l’operazione finanziaria.

N.B. Il prezzo da corrispondere sarà sempre aumentato per l’imposta di registro o per l’I.V.A che potrà essere ad aliquota agevolata nel caso di acquisto di una “prima casa”.

Successivamente la Cancelleria provvederà ad emettere il decreto di trasferimento in favore del concorrente che è rimasto aggiudicatario.

Tale decreto, che verrà trascritto in Conservatoria, a cura della Cancelleria, costituirà titolo di proprietà e titolo esecutivo nei confronti di chi occupasse l’immobile. Infine, a cura di parte e a carico dell’esecuzione si provvederà alla materiale cancellazione d’ipoteche, trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli, che, pur se ancora presenti sull’immobile, di fatto non hanno alcuna rilevanza per il nuovo proprietario.

N.B. Qualora sia necessario è possibile condonare tardivamente gli abusi edilizi degli immobili acquistati attraverso il Tribunale, entro 120 gg. dalla registrazione del trasferimento con spesa per imposte di concessione e oblazione a carico dell’aggiudicatario.